16.2.11

Scuola (ovvero: tutto quel che credevo di sapere in parte è sbagliato)

Quando ho iniziato le scuole elementari avevo sei anni. Che di per sé sarebbe un dato quasi scontato, ovvio, se non fosse che oggi mi ha colpito con terribile lucidità il fatto che quel settembre 1990 fosse poco meno di 21 anni fa.

La scuola è una di quelle istituzioni che, il più delle volte, salvo seggi elettorali, non rivedrai più una volta suonata l'ultima campanella, specialmente per chi, lapalissiano a dirsi, non ha scelto la via dell'insegnamento come professione.
Oggi, assieme a Federica, ho tenuto due lezioni ad altrettante classi elementari di Nichelino, una 5° e una 4° elementare, sull'illustrazione e il disegno: non starò qui a dilungarmi su quanto sappiano essere sorprendenti i "tiny humans" quando si tratta di mettersi in gioco ed essere creativi, ma tenetelo lì come dato utile (sì: sono incredibili per quanto riescano ad essere vivaci, creativi, svegli e attenti nonostante li si accusi, da generazioni, di essersi fritti ciclicamente il cervello con playstation e tv).

La prima scuola visitata mi ha colpito. Colpito perché mi sono reso conto che sono passati vent'anni dal mio primo giorno di scuola e la scuola stessa, vivaddio e nonostante gli attentati governativi, è cresciuta.

Quando ho iniziato la scuola ricordo solo i banchi tutti uguali, le aule spoglie (a Genova frequentavo un ex ospedale della Prima Guerra Mondiale riadibito da decenni a edificio scolastico, con tanto di battiscopa curvi e finestroni da reparto) e le maestre brave, per carità, ma semplici, limitate, diciamo così.
Oggi ho scoperto che vent'anni sono passati e per qualcuno hanno fatto più che bene.

La prima classe incontrata aveva un'aula colorata, semplice negli arredi ma completa di tutto: scaffali e armadietti per i quadernoni e i materiali didattici, i colori, i pennelli, le cartelline e le loro creazioni artistiche; e poi cestini per la frutta, per l'igiene personale, la biblioteca di classe e ancora molte altre cose. Molte altre cose che rendono vivere a scuola una cosa bella, che non rendono una noia interminabile passare ore nel proprio edificio scolastico, che stimolano e responsabilizzano i ragazzini. Anzi, i bambini.

Sì perché questa classe si divideva in quattro gruppi, ognuno con un responsabile di gruppo e un responsabile di classe per le uscite durante la ricreazione, ogni gruppo aveva i propri asciugamani, carta igienica, sapone, spazzolini... Ognuno di loro sapeva l'importanza del non sprecare, del capire che una risorsa sprecata è qualcosa che togliamo al prossimo: è un pensiero semplice che si instilla con gesti semplici come questi, che fa crescere meglio una generazione migliore, probabilmente migliore della nostra.

E poi la frutta. Io non mangio molta frutta, lo sanno bene i miei; per anni la verdura è stata il mio nemico personale e giurato, non parliamo di cosa fosse per me la frutta. Non mangiavo schifezze, capiamoci, ma di sicuro per me sarebbe stato impensabile fare ricreazione con arance e mele. Bene, loro lo fanno: i loro intervalli vedono entrare un'inserviente con ceste di frutta e i bambini la mangiano; magari preferirebbero le patatine, certo, ma la mangiano, si abituano ad un'alimentazione corretta e sana, si abituano ad assumere zuccheri naturali e non grassi saturi o idrogenati.

La loro insegnante ne approfittava per spiegarmi il suo punto di vista a riguardo. Sapeva benissimo che la costrizione al consumo di frutta poteva essere interpretata come una lesione delle libertà individuali dei singoli alunni (!), ma del resto la riteneva una scelta necessaria per abituarli alla presenza di cibi sani e biologici sulla tavola; io sono andato oltre e le ho detto che, secondo me, questo punto non sarebbe stato nemmeno da sollevare: i bambini non sono veramente liberi. I ragazzini sono intelligenti, vivaci etc ma sono comunque piccoli umani carichi di curiosità e di entusiasmo colpiti da pubblicità studiate APPOSTA per (contro di?) loro e per le loro pulsioni; in sostanza, dal mio punto di vista la loro libertà è già minata dal consumismo sfrenato, dall'illusione effimera che la libertà risieda in una pilotata capacità di scelta tra Gormiti o Ben 10, tra Kinder o Nestlé, abbagliati (specialmente i genitori) nella falsa consapevolezza che la Nutella (buona, eh) sia sana ed energetica, le merendine aiutino la vita scolastica e che i Sofficini siano alimenti genuini e naturali.
La libertà dei ragazzini è già incrinata da spot, cartelloni e pubblicità che sappiamo essere spinte dai big spender di turno: che una maestra si senta in colpa per attentare a questa "libertà" offrendo arance e mele come merenda scolastica è commovente.

La forza d'animo della scuola che ho visto è la passione di andare avanti e affrontare le sforbiciate ministeriali a testa alta, guardando negli occhi gli alunni e creando un ambiente a loro favorevole e per loro stimolante, un ambiente dove educazione fa coppia con rispetto (del prossimo, degli insegnanti e dell'ambiente) e dove severità non è sinonimo di insegnamento.

Credo ci sia speranza, tutto sommato.

PS: fanno la raccolta differenziata, sì. E se manca il secchio dell'umido chiedono alla maestra se possono, per questa volta, buttare le bucce d'arancia nell'indifferenziato. Magnifici.

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